BIOGRAFIA
La seguente biografia è una sintesi delle ricerche compiute in ordine di tempo da Tiziana Chemotti, Chiara San Giuseppe, William Belli, Paolo Flor e Jessica Serafini.
GIOVINEZZA
Francesco Trentini nacque a Lasino il 15 febbraio 1876 in una famiglia di agricoltori, quando il Trentino faceva parte dell’Impero austro-ungarico. Terminate le scuole elementari, obbligatorie a quel tempo fino ai quattordici anni, fece il pastore nei dintorni di Lasino, dove incise sulle rocce le prime figure, rimaste visibili per molti anni.
La scoperta del talento
Divenuta manifesta la sua naturale inclinazione per la scultura, Don Francesco Pisoni, professore di Lasino al Liceo di Trento, si adoperò nel 1893 perché fosse iscritto all’Imperial Regia Scuola Industriale per la lavorazione del marmo di Trento. Terminata questa scuola quadriennale ritenne di proseguire gli studi e frequentare altri quattro corsi semestrali di intaglio del legno, disegno e modellazione nelle scuole professionali di Innsbruck e di Vienna.
LA FORMAZIONE A VIENNA
L’obiettivo ambito era divenuto l’accesso all’Accademia delle arti figurative di Vienna, cui fu ammesso nel 1900 come uditore, poiché non possedeva il titolo di studio richiesto. Cominciava così la sua vera formazione artistica, durata l’intero ciclo di studi di scultura, prima nella Scuola Generale, cui fu iscritto dal 1901 al 1904, poi nella Scuola Specialistica dal 1904 al 1908.
I maestri Viennesi
Fu allievo degli scultori Hans Bitterlich e Edmund von Hellmer. La sua abilità e il suo impegno furono riconosciuti con l’assegnazione di borse di studio e di consistenti premi in denaro, attribuiti dal collegio di professori durante la mostra annuale dei lavori degli studenti.
Trentini e la secessione viennese
La scuola più allettante era costituita, tuttavia, in quegli anni dalle mostre dell’Unione degli artisti figurativi austriaci nota come Secessione viennese, il movimento fondato nel 1987 in opposizione al conservatorismo accademico dell’arte, nell’alveo di un fenomeno di portata europea. Francesco Trentini accolse alcuni elementi stilistici dei secessionisti, dedicando però grande attenzione all’arte classica e ad ogni espressione artistica compiuta di ogni nazione ed epoca storica. Un influsso innegabile esercitò su di lui lo scultore più acclamato del tempo, Auguste Rodin, innovatore nel realismo delle figure umane e nello stile non convenzionale.
Il Circolo Accademico Italiano di Vienna
A Vienna frequentava il Circolo Accademico Italiano, che accoglieva i giovani italiani impegnati negli studi superiori, come lo scultore Ermete Bonapace di Mezzolombardo e il pittore roveretano Oddone Tomasi. A quell’istituzione donò nel giugno del 1902 un busto di Dante e pochi mesi dopo anche il busto di Niccolò Tommaseo, opere che adornarono poi la nuova sede in Habsburgergasse.
Trentini e gli artisti trentini
Altri artisti trentini studiavano e operavano all’inizio del secolo nella capitale dell’impero. Egli fu compagno di studi dello scultore Remo Stringari di Aldeno e strinse amicizia duratura con il pittore arcense Luigi Bonazza. Con lo scultore Stefano Zuech di Brez ebbe invece un rapporto conflittuale, troncato in seguito per un torto giudicato imperdonabile. Nei ricordi degli anni passati a Vienna, nonstante il suo grande riserbo, affiorò talvolta un particolare interesse per una signorina Matilde, probabilmente Matilde Zemann che Zuech sposò nel 1910.
Le prime recensioni
Ernesta Bittanti Battisti su “Vita Trentina”, supplemento settimanale del “Popolo” del 6 giugno 1908, definiva lo studente Trentini un artista dotato di “una lodevole facilità e morbidezza di modellatura” e molto sobrio “ nell’espressione della sua idea.” La Bittanti nell’articolo apprezzava anche l’originalità
delle sculture eseguite senza la guida dei docenti, come il Fauno ebbro (1906), donato proprio nel 1908 al Comune di Trento, oggi al Museo d’Arte Contemporanea di Rovereto.
VIAGGI DI STUDIO
Nel 1908, al termine degli studi di scultura, per il gruppo Achille ed Ettore gli fu assegnato il premio Roma, una speciale borsa di studio (Reisestipendium), di 3300 corone, che consentiva agli studenti più dotati di talento di proseguire gli studi all’estero. Iniziava per Francesco Trentini il tempo felice dei viaggi e delle visite ai grandi musei europei, esperienze fissate in numerosi appunti e rapidi schizzi. Queste memorie di viaggio frammentarie e discontinue contengono giudizi sintetici di opere d’arte, rilievi tecnici e considerazioni che palesano variegati interessi archeologici, storici ed etnografici.
I viaggi in Italia
L’itinerario seguito tra il 1908 e il 1909 nei suoi viaggi è ricostruibile solo in parte. In una lettera inviata da Roma all’Accademia di Vienna, dichiarò di essere in procinto di recarsi a Firenze, a Venezia e a Parigi e di aver sostato a Milano, Torino, Genova, Napoli e Roma. Del suo soggiorno a Roma, dove grazie al premio vinto poteva alloggiare presso l’Ambasciata austriaca a Palazzo Venezia, rimangono solo schizzi e scarni appunti per ricordare il Foro, la via Appia, il Museo Capitolino e il Museo etrusco di Villa Giulia. Così due soli disegni di statue degli Uffizi sono l’unica traccia di una sosta nella città di Firenze,
mentre l’interesse particolare per l’Egitto e la sua storia appare con evidenza in poche pagine scritte al Museo Egizio di Torino.
I viaggi in Europa
Due quadernetti, quasi integri, costruiti con carta comune bianca e spago e alcuni fogli sparsi, raccontano invece le accurate visite al British Museum di Londra, ai musei Louvre, Luxembourg, Carnavalet e Trocadero di Parigi e ai Musei di Belle Arti di Bruxelles e Anversa. Altri fogli sparsi attestano la sua ammirazione per alcuni reperti esposti nei musei archeologici di Zurigo, Berna e Amburgo.
PRIME OPERE IN TRENTINO
Il suo ritorno a Lasino, al termine del lungo viaggio in Europa, avvenne probabilmente verso la fine del 1909, anno in cui modellò il busto di Roberto Bassetti, benemerito cittadino di Lasino, fuso poi nel bronzo e inaugurato ufficialmente tre anni dopo.
Il 4 gennaio 1912 Francesco Trentini sposò Caterina Valandro di Scurelle in Valsugana, una maestra di pizzi che aveva posato per lui come modella e che purtroppo morì l’anno successivo.
Il ritorno in Trentino
In quell’anno lo scultore collaborò con don Vogt, curato di Madruzzo ed appassionato archeologo, ed eseguì rilievi e planimetrie della grotta sepolcrale denominata “la Cosina” a Cavedine, pubblicati nel 1913 da Giacomo Roberti sul Bollettino di Paletnologia Italiana.
La statua dell’Arciduca Alberto d’Asburgo ad Arco
Il 2 marzo 1913 fu inaugurata solennemente ad Arco la statua in bronzo dell’Arciduca Alberto d’Asburgo, il generale vincitore della battaglia di Custoza, che era stato a lungo gradito ospite di quella città, favorendo la sua trasformazione in rinomata stazione di cura e soggiorno dell’impero.
L’opera fu fonte di grande cruccio per lo scultore fin dalla sua fusione, quando si accorse che era venuta meno la giusta proporzione tra il corpo e la testa. Rimossa nel 1915 dal suo piedistallo per preservarla dai bombardamenti della guerra e relegata nelle cantine del Castello del Buonconsiglio, la statua divenne solo il ricordo di un passato da dimenticare. Tutelata come testimonianza storica da conservare, non fu tuttavia restituita al Comune di Arco, che chiese nel 1926 allo stesso Trentini, dichiaratosi disponibile, di progettare un nuovo monumento per la stessa base. Il progetto non ebbe seguito e la statua dell’Arciduca, dopo lunga diatriba, ritornò al suo posto in Largo Rotonda, oggi Largo Arciduca Alberto, solo nel 1980.
Nel 1914 lo scultore presentava due bozzetti al concorso indetto dall’amministrazione di Cles per ricordare con una statua il quattrocentesimo anniversario dell’elezione di Bernardo Clesio a Vescovo di Trento. Il concorso, cui partecipò anche Stefano Zuech, dapprima sospeso per l’accesa polemica contro la figura del Clesio, a causa della dura repressione della “guerra rustica”, decadde poi per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Trentini e la Prima Guerra Mondiale
All’inizio delle ostilità fu arrulato nell’esercito austriaco come soldato semplice, perché non aveva presentato il diploma accademico e per questo fu rimproverato dai superiori. Fu inviato prima in Russia, poi, dopo un lungo periodo di malattia trascorso in ospedale a Vienna, in Romania ed infine sull’Adamello.
IL PRIMO DOPO GUERRA E I MONUMENTI AI CADUTI
Terminata la guerra, lo scultore, provato dall’esperienza tragica vissuta e disorientato per il dissolversi dell’Austria felix, in cui si era formato, ricevendo riconoscimenti e benefici economici, si ritirò a Lasino con due sorelle nubili ed un fratello, scegliendo di fare l’agricoltore come il padre.
Il ritorno a Lasino
Continuò, tuttavia, con grande passione anche l’attività di scultore, nello studio della sua casa di pietra locale, che aveva progettato e costruito negli anni precedenti al conflitto, adornandola con alcuni conci scolpiti, tra cui l’emblematica testa del bifolco. Viveva quasi isolato dal resto del mondo, mantenendo rapporti di amicizia con l’ingegner Miori di Padergnone, il pittore Bonazza e la famiglia Chinatti.
Le opere trentine del primo dopoguerra
Proprio su richiesta di Claudio Chinatti modellò dopo la fine della guerra l’elegante statuetta in gesso di Cesare Battisti, in ricordo di un discorso elettorale tenuto dallo studioso e politico irridentista a casa Chinatti nel 1907, per il divieto di parlare nella piazza del paese.
Appartiene al primo dopoguerra anche il bronzo “Mittendorf”, di chiara ascendenza rodiniana, in cui lo scultore volle rappresentare lo stato di prostrazione della popolazione trentina evacuata in tempo di guerra e confinata nelle baracche dei campi profughi allestiti in Austria.
Tra il 1920 e il 1925 Trentini progettò i monumenti dei caduti della Prima Guerra Mondiale per sette comuni del Trentino, cercando soluzioni plastiche politicamente neutre per onorare degnamente i soldati trentini, sudditi dell’impero austro-ungarico, caduti combattendo. Solo cinque furono realizzati dopo aver ottenuto il necessario nulla osta dell’Ufficio delle Belle Arti di Trento.
Il primo, un semplice cippo, fu eretto il 31 ottobre del 1920 a Romarzollo, un piccolo comune oggi unito alla città di Arco, realizzato da scalpellini della ditta Baroncini di Vigne.
Per il Comune di Pinzolo lo scultore elaborò nell’ottobre del 1921 tre proposte: “La Madre Patria”, un obelisco e il “Dolore sopra un altare dei martiri”. Il bozzetto scenografico della Madre Patria, scelto dal comitato promotore, non fu autorizzato perché esaltava la “guerra austriaca” ed era ritenuto in netto contrasto con il luogo prescelto.
Nell’agosto del 1922 Trentini esponeva un fauno colorato alla prima “Mostra d’arte della Venezia Tridentina”, allestita al Teatro civico di Bolzano. Fu l’unica mostra d’arte cui partecipò in vita.
Nel 1923 fu inaugurato a Calavino il monumento per celebrare “le vittime innocenti della guerra”, una stele dominata da un bimbo smarrito in primo piano tra quattro uomini a capo chino.
Per il monumento ai caduti di Lasino, Trentini elaborò due progetti, “L’orfano di guerra”, autorizzato nel 1923, ma non realizzato, e “Il dolore alla Croce”, che ottenne il nulla osta sia per l’esecuzione (1924), sia per una diversa collocazione nel cimitero (1931). Rappresenta l’opera più articolata dello scultore, che scelse per il soggetto principale un modello di dimensioni erculee e di ascendenza michelangiolesca, adornando la croce stilizzata con un fregio continuo di corpi appena accennati, che sul lato posteriore, con rilievo marcato, si adunano mesti sotto il volto di Cristo coronato di spine.
Quel volto scavato di Cristo di timbro espressionista era già stato scolpito dallo scultore come soggetto unico nella lapide Zambarda (1919) del Cimitero di Calavino.
La figura del dolore alla croce comparve di nuovo nel monumento ai caduti di Ragoli, interpretato da un giovane apollineo molto vigoroso, un’esaltazione del corpo maschile in una posa ricercata.
Nel monumento ai caduti di Breguzzo, lo scultore riprese invece nel bronzo e con ritmo meno concitato la piccola folla di giovani scolpita nel marmo a Lasino, sovrastata dal volto di Cristo.
In questi anni ebbe inizio anche la collaborazione dello scultore con la “Fonderia Colbacchini” di Trento per la produzione di una dozzina di piccole statue di bronzo, prodotte in più copie, di cui rimane solo il ricordo di alcuni fauni e di un Balilla genovese.
Nel 1925 Trentini scolpì per la piazza di Lasino l’enigmatica fontana “Lagolo”, un animale bizzarro indefinibile, ritenuto appartenere a un mito, immagine allegorica del laghetto omonimo situato sopra l’abitato di Lasino.
In un’altra opera della metà degli anni Venti, la lapide Pedrotti nel Cimitero di Padergnone (1926), tornava l’eco stilistico della Secessione nel descrivere il cordoglio dei giovani per la morte dell’apprezzato insegnante e musicista.
LE CERAMICHE
Il 28 ottobre 1929 Francesco Trentini fu nominato Commissario prefettizio del Comune di Madruzzo, che comprendeva il territorio dei paesi di Lasino e Calavino, incarico svolto con grande impegno e scrupolo contabile, fino al luglio del 1938.
Nel tempo disponibile modellava piccole sculture, vasi e altri oggetti fittili di uso quotidiano per le “Ceramiche Leonardi” di Vezzano, aprendo una fase nuova della sua vita artistica, in cui pareva aver fatto proprio il principio della Secessione di “opera d’arte totale” e l’aspirazione a elevare la qualità
artistica dei prodotti di artigianato della Wiener Werkstätte.
La rivista “Gli Artieri del Trentino” nel 1929 attribuiva il successo delle Ceramiche Leonardi all’apporto costante dell’artista di Lasino, che proseguì anche dopo la cessazione dell’attività nel 1930, ripresa a Rovereto qualche anno più tardi. Non subì però interruzioni la creazione di statuette in terracotta da parte dello scultore, perché il ceramista abruzzese Guido Pardi nel 1931 apriva proprio a Vezzano un piccolo laboratorio che lo vedeva ancora protagonista. Con la ditta Pardi Trentini ricevette, infatti, nel 1937 il primo premio alla mostra dell’artigianato di Firenze per il Carro nel fango, un inno alla fatica improba di una mucca e di un contadino per far avanzare un carro su un terreno melmoso.
Il venir meno dell’interesse per la scultura alle soglie degli anni Trenta rimane ancora un lato oscuro della vita di Trentini, che negli ultimi anni distrusse buona parte dei suoi documenti, impedendo una chiara conoscenza almeno dei momenti cruciali della sua esistenza. La mancanza dei vincoli imposti da possibili committenti gli lasciava certamente la libertà di impegnarsi solo nelle opere che gli davano soddisfazione. Il limitato tempo disponibile, soprattutto nel lungo periodo in cui fu amministratore pubblico, può spiegare invece la predilezione per le opere fittili di dimensioni contenute.
LE ULTIME OPERE
La scelta di fare l’agricoltore gli consentiva di stare a contatto con la natura, per la quale aveva un amore particolare, che si esprimeva anche con le escursioni in montagna, compiute fino ad età molto avanzata.
Si dilettava poi a suonare il violoncello e si esibiva con alcuni amici nelle serate danzanti che si svolgevano nell’albergo di Lasino e talora a teatro negli intervalli delle rappresentazioni. Impiegava uno strumento che si era costruito intagliando sul manico la testa di Orfeo, ancora conservata.
Il busto in bassorilievo del pittore Giuseppe Craffonara scolpito per la città di Riva nel 1930, mirabile per lo sguardo intenso, chiuse la sequenza delle opere pubbliche.
La morte improvvisa del piccolo Miori di quattro anni, lo determinò a scolpire nel 1933 per la famiglia amica una piccola e delicata lapide ricordo al cimitero di Padergnone. Un altro evento straordinario, la scampata morte del commilitone Costante Bonetti, rimasto illeso durante un bombardamento nel 1945 a Cavedine, lo indusse a incidere su un cippo una Madonna con bambino come ex-voto.
Due anni dopo, nel 1947, Trentini scolpiva la lapide Rosà, nel Cimitero di Lasino, con il ritratto di una giovane orante, esemplare per la semplicità e la naturalezza, libera dagli schemi del passato viennese.
Nel gennaio del 1948 Trentini decise di adottare Leopoldo Pizzedaz, l’uomo gravemente ammalato che lo aiutava nella coltivazione dei campi e aveva tre figli in tenera età. L’atto di grande generosità garantiva un futuro dignitoso alla famiglia del figlio adottivo che moriva poco dopo. Lo scultore visse in seguito con la
nuora Teresa e con i nipoti cui fu molto affezionato.
Persuaso dalla nipotina Clotilde, dopo alcuni rifiuti motivati dalla necessità di potare le vigne, accettò nel 1951 l’incarico del Rettore del Seminario di Trento di realizzare direttamente sul tetto dell’edificio “La Regina del Seminario”, una Madonna di gesso in grandezza naturale, poi rimossa e distrutta, di cui
rimane solo un’immagine notturna, non decifrabile per la lontananza.
Alla nuora Teresa va attribuito il merito di aver nascosto e conservato alcuni studi e disegni, pochissimi documenti e gli appunti di viaggio, che sarebbero finiti nel fuoco, rendendo ancora più difficile lo studio della vita e delle opere dell’artista.
Il 20 settembre 1959 furono benedette a Trambileno le formelle della Via Crucis del Santuario della Madonna de La Salette, commissionate dal parroco Giovanni Battista Giacomelli alle Ceramiche Leonardi di Rovereto, modellate dal Trentini. I piccoli quadri di terracotta, particolarmente accurati nelle espressioni dei volti, raggiungono in talune scene momenti d’intenso lirismo.
L’evento conferma come lo scultore a 83 anni fosse ancora impegnato a dar forma a piccole opere di argilla, con la produzione negli anni di una ampia gamma di soggetti in piccola serie, non sempre ripettosi dei disegni originali, dalle mucche alle donne contadine e montanare, dai piatti delle guerre rustiche ai vasi decorati, dalle deposizioni ai crocifissi.
Nelle ceramiche e nei piccoli gessi, di incerta datazione, affiorò talora il ricordo traumatico della guerra, spesso il gusto per l’ironia come nelle Streghe di Cagliano e nei bozzetti Cartago e Fenici, che mostrano una spiccata originalità, fusione di diverse esperienze e di una bonaria visione del mondo contadino.
Questa peculiarità dell’artista, riconosciuta da quanti hanno studiato le sue opere dopo la morte, ha trovato una conferma decisiva con il ritrovamento nell’estate del 2018 della statuetta di bronzo del Bifolco, dove il metallo nobile consente una manifestazione più netta del suo stile unico, in cui gli influssi noti di Egger Lienz e Rodin, sembrano trovare una decisa vena espressionistica.
Con la fine dell’attività delle Ceramiche Leonardi a Rovereto furono posti in vendita numerosi disegni e schizzi dello scultore, una raccolta di proposte grafiche solo in parte plasmate o dipinte su manufatti fittili, che consentì di considerare i disegni dello scultore come opere autonome, quantunque disparate per tipo e dimensione. Le figure dominanti, che rievocano il gusto per il mito e i decori raffinati delle secessioni di Vienna e di Monaco, sono forme vegetali ricercate, eleganti animali, fauni e danzatrici, ma anche lunghe teorie di scalatori e contadini ispirate al pittore Egger Lienz.
La fontana monolitica di Vetriolo, realizzata nel 1962 con la collaborazione dello scalpellino Francesco Pedrini, fu l’ultima opera dell’artista, che scelse, come per la fontana di Lasino, di far sgorgare l’acqua da una figura di animale non identificabile, contornata da tre anfore.
Di numerose opere, bozzetti e studi in gesso, frutto della sua continua sperimentazione, non è rimasta traccia, perché distrutti dal suo artefice o donati ad amici e conoscenti, solo in parte conosciuti.
Il 25 maggio 1966, all’età di novant’anni, Francesco Trentini si spegneva nella sua casa di Lasino.